mercoledì 11 maggio 2011

DVM5 - Rivolta Ivoriana

Da qualche anno il mio ruolo di viaggiatore si è fatto più corposo, essendo le mie trasferte in giro per il globo aumentate di intensità a causa di un buffo lavoro che neanche io so definire con esattezza. Mi sono trovato così involontario protagonista di disavventure causate dall’essere il contrario del viaggiatore on the road consumato. Al contempo il trovarmi in luoghi talmente ricchi di profumi, colori, sapori, esperienze e vite diverse dalla mia, mi ha posto in condizione di non poter fare a meno di raccontarli. Il DVM è quindi la fedele ricostruzione dei miei viaggi, di ciò che ho visto e vissuto, sempre in prima persona.

Diario del Viaggiatore Maldestro

Costa d’Avorio, Abidjan, 16 Gennaio 2006


Ci sono.
Torno nello stesso posto dove i miei genitori hanno vissuto il loro primo anno africano, appena sposati. Sono passati quaranta anni, per me è come tornare sul luogo del delitto. Abidjan, Costa d'Avorio.
Prima di partire tutte le precauzioni necessarie: vaccini, vaccini e ancora vaccini. Il medico mi consiglia precauzioni contro l'aids, contro l'epatite A, l'epatite B, il colera, la febbre gialla, quella tifoidea, etc. Seguo tutto scrupolosamente. Accenna anche qualcosa a proposito della diarrea del viaggiatore, ma si tratta di complicazioni secondarie.

Ad Abidjan ci arrivo dopo una decina di ore di volo, partenza da Bruxelles, dopo uno scalo a Freetown, in Sierra Leone. C'è aria elettrica, in città. Pare che l'Onu di stanza qui (la Costa d'Avorio vive in una guerra civile da diversi anni, il nord contro il sud e in mezzo i francesi, che di fatto non se ne sono mai andati dall'indipendenza coloniale negli anni sessanta) abbia sparato alcuni colpi, ferendo a morte un Ivoriano. C'è odor di rivolta fin dall'aereoporto.

L'albergo è niente male, molto business style, ma del resto questo è quello che rappresento qui: un uomo d'affari. E va bene, sono stato un sacco di cose, aggiungo solo un personaggio alla fila. Arrivo e sono molto affamato, è quasi mezzanotte, ora locale. Un'occhiata alla carta dei servizi, c'è la cena in camera. Un po' snob, ma molto business. Alzo la cornetta ed ordino una zuppetta di funghi e per secondo dei gamberetti in salsa con insalata: da bere un vinello rosso francese, Bordeaux. Incrocio le gambe sul tavolino da fumo nella mia stanza al quarto piano, con vista sulla strada principale e mi godo mentalmente il comfort. Pro del business tropicale.
Pochi minuti ed arriva tutto in camera, tavolino compreso. In una ventina di minuti mi faccio fuori tutto il mangiabile. Un paio di rutti poco business molto maschi, l'ipnosi musicale di un po' di televisione francese e poi, infine, l'abbraccio del letto a due piazze. Alle tre di notte un languore non ben definito mi sveglia; dal basso ventre un segnale mi invita ad alzarmi. Immediatamente. Devo correre. Apro la porta del bagno e malauguratamente (per lui) la prima cosa che mi trovo di fronte è il lavandino: a lui rendo con uno spruzzo gioioso la zuppetta di funghi, i gamberetti, l'insalata ed il vinello rosso francese. In ordine sparso. Erutto come un vulcano dormiente da secoli, sono inarrestabile. Uno strano connubio fra Krakatoa e l'esorcista. Nel frattempo la sostanza liquida autoemessa ha formato un laghetto di dimensioni tutt'altro che risibili nel lavandino e non accenna a calare attraverso il suo naturale sfogo. Intanto i conati proseguono.
Primi accenni di panico e conseguente prima mossa sbagliata: aprire il rubinetto. Niente da fare. La zuppona aumenta di volume e si rifiuta di scomparire nelle tubazioni. Nuovi conati e secondo errore: nella confusione generale causata dal dormiveglia e dai disturbi, risolvo che la mossa migliore sia togliere il tappo del lavandino. Senza troppo attardarmi a pensare (l'azione, signori, l'azione la virtù dei forti) infilo le mani nella brodaglia violacea (ach, il vino francese). Nel viaggio verso il tappo in fondo al brodo, le mie mani incontrano in sospensione i gamberetti e l'insalata: paiono danzare felici, resi ebbri dallo stramaledetto liquido amniotico imbottigliato in Francia. Perso in questo filosofare, non faccio due più due e tolgo il tappo.
Cinque tragici secondi e la situazione si fa veramente difficile. Gli indisciplinati gamberetti, in preda al panico, si accalcano in massa verso l'uscita, ostruendo la tubazione. E ancora conati. Stavolta un'illuminazione viene a salvarmi. Meglio continuare il mio discorso nella tazza del cesso.

Finito. Faccio la conta dei danni.
Mi ritrovo con un'imbarazzante, puzzolente, riottosa massa liquida nel mio lavandino che si rifiuta di scomparire. La soluzione è chiara ed univoca: prendo un bicchiere ed inizio a trasbordare il brodo primordiale dove avrei dovuto lasciarlo già alla prima eruzione. Mentre riempio il cesso svuotando il lavandino mi rendo conto di quanto compromessa sia la situazione. I gamberetti hanno occupato in pianta stabile tutta la tubazione. Con la coda di uno spazzolino provo ad aprire un varco per lo scolo, ma la gamberettanza è ostinata e piantona lo spazio senza possibilità di rimozione. Penso alle vie d'uscita: potrei chiamare la reception con fare molto scocciato e lamentarmi perché la mia camera ha il lavandino ostruito dai gamberetti. Farebbe abbastanza business? Intanto la situazione precipita ancora più in basso, il mio stomaco torna a farsi sentire. Stavolta mi pare che non cerchi una via d'uscita verso l'alto. Cos'è che aveva detto il medico?
Puntuale, il disturbo noto come diarrea del viaggiatore arriva senza pietà per i miei sensi già provati. Nelle seguenti quattro ore, a scadenze regolari, dovrò alzarmi dal letto cinque volte per visitare il bagno, con conseguente disidratazione e malessere generale.
Prime controindicazioni del business tropicale.

Seconde: evitare accuratamente di fare business in paesi tropicali in guerra civile e sull'orlo di una rivolta popolare (a meno che non si vendano armi, e non è il mio caso). Nei seguenti quattro giorni le strade di Abidjan saranno impercorribili e piantonate da miliziani, civili, bambini. Pare che qualsiasi cosa su due gambe abbia un fucile. Dal mio quarto piano vedo i blocchi stradali improvvisati, mentre combatto per tre giorni a suon di Imodium. Pare gli Ivoriani ce l'abbiano con i bianchi.
Al quinto giorno di prigionia forzata (quando il mio fisico inizia a riaversi) i viveri cominciano a scarseggiare nel mio albergo business. Mangiamo gallette, e viviamo tutti rimbalzando fra la hall, le camere e il cocktail bar. Alla fine del quinto giorno il mio contatto Ivoriano (Jeròme, un imprenditore di caffè di una sessantina di anni) si presenta nella hall, e mi propone la sortita dall'albergo: la situazione di sta calmando, dice. Accetto con piacere, lui mi tranquillizza. Saliamo sulla jeep vetri scuri con choffer. Occupo i sedili nel retro, ho solo una valigietta (il mio trolley). L'indomani dovrei avere il volo di ritorno ma dall'Europa sono stati cancellati tutti i voli, pare che dovrò fare una tratta interna (tipo Abidjan - Ouagadugu - Dakar) per tornare verso Bruxelles.
Non facciamo neanche un chilometro che siamo fermi a un posto di blocco: davanti a noi una decina di ragazzi fra i quindici e venti anni, tutti armati con fucile e senza nessuna uniforme. Il maggiore và a parlare con Jeròme. Gli altri si avvicinano al mio finestrino oscurato. Con il calcio del fucile inziano a battere sul vetro, mentre io sprofondo dietro i miei occhiali scuri e penso che la vita, tutto sommato, è valsa la pena. E' in questo momento che Jeròme ha la brillante idea di uscire dal suo sportello e urlare all'indirizzo dei ragazzi: è questo il modo di offendere vostro padre? E' questo il modo di mancare di rispetto a chi è più anziano?

In quel momento io sono una sottiletta con gli occhiali da sole, su un sedile in pelle nel retro di una jeep ostaggio di un gruppo di ragazzini ribelli armati e senza freni inibitori nel mezzo dell'Africa equatoriale. Spero che la pallottola mi colpisca in una zona che mi porti a morte certa in breve tempo. Non vorrei agonizzare. Odio le morti lente, anche al cinema.
Eppure, miracolosamente, in pochi, eterni secondi, tutto si schiarisce. Le parole di Jeròme sortiscono l'effetto voluto, il blocco si dissolve, la jeep riprende il suo tragitto e Jeròme si gira verso di me: sono ragazzi. Credo mi abbia salvato la vita, e vorrei santificarlo, ma questa volta ho davvero avuto paura, e sorrido sforzato. So solo che l'indomani un volo AirAfrica mi traghetterà attraverso tre nazioni, per depositarmi a Dakar, in Senegal e questo è l'unico pensiero che mi tranquillizza.

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