giovedì 30 giugno 2011

DVM10 - Lisbona e malinconia

Da qualche anno il mio ruolo di viaggiatore si è fatto più corposo, essendo le mie trasferte in giro per il globo aumentate di intensità a causa di un buffo lavoro che neanche io so definire con esattezza. Mi sono trovato così involontario protagonista di disavventure causate dall’essere il contrario del viaggiatore on the road consumato. Al contempo il trovarmi in luoghi talmente ricchi di profumi, colori, sapori, esperienze e vite diverse dalla mia, mi ha posto in condizione di non poter fare a meno di raccontarli. Il DVM è quindi la fedele ricostruzione dei miei viaggi, di ciò che ho visto e vissuto, sempre in prima persona.

Diario del Viaggiatore Maldestro
Lisbona, Portogallo - Gennaio 2007

Arrivo in Portogallo a gennaio, a Lisbona, obbiettivo ufficiale incontrare il direttore di un sugherifico, anche se le quercie da sughero e la loro lavorazione sono in realtà localizzate nella regione dell'Alenteju, un paio d'ore d'auto dalla capitale, dove andró in visita probabilmente domani. Sono le otto di sera e il freddo mi accoglie nella capitale Portoghese, ancora illuminata dalle luci post natalizie, belle, creative e impressionanti. Dopo una fermata in albergo per mollare le mie cose (sempre le stesse: pc e una borsa con pochi vestiti) mi concedo un giro notturno al Barrio Alto e subito ho delle prime piacevoli sorprese. Sono le dieci e mezzo e la vita pare appena iniziata, la gente si riverbera nelle arterie di questo quartiere, pieno di ristoranti, locali, strade strette e lastricate. C'è, nonostante i cinque gradi, un'atmosfera calorosa e accogliente. In qualche ristorante (piatto tipico: bacalao) stanno suonando Fado, che - per chi non ne ha mai sentito parlare invito all'ascolto di Amalia Rodriguez, o Madredeus - è una musica dagli accenti particolarmente malinconici, suonata con strumenti acustici. In questo caso, la cantante è donna, e cosí mi appoggio al muro fuori dalla taverna e ammaliato, chiudo gli occhi: non so di cosa stia cantando, anche fosse l'elenco telefonico potrei rimanere ad ascoltarla per sempre. É in quel preciso istante che scocca la scintilla: mi innamoro. Lisbona diventa la mia favorita, una delle piú belle capitali europee (Praga e Roma le altre). Colgo netta la sensazione di sentirmi in una casa, una delle innumerevoli attraversate, dove abbandonarmi, cullato da questa melassa che chiamano musica, ad un ozio malinconico e struggente, esistenziale. Devo dire che il Fado riflette magistralmente per me lo spirito della città, maestosa e decadente, ossimoro e colonna sonora di una nobiltà passata (e i grandi monumenti e in generale la pianta dela città lo testimoniano) allo stesso tempo popolana (come i piccoli negozi fermi agli anni settanta, o i vicoli che s'inerpicano su e giù per la città). Insomma passo quattro giorni a Lisbona e lo dichiaro, amo questa città, vorrei girare un film qui, perdermi fra le vie, i palazzi piastrellati e decorati in ceramica, le svolte mozzafiato, fra il castello di Sao Jorge e il grande mercato ortofrutticolo, assaporare l'oceano (il fiume Tago, in realtà, ma la sensazione di essere alle colonne d'Ercole, con lo sguardo che si perde verso una distesa piatta e infinita é molto presente), la nebbia mattutina, i tram che la tagliano arrivando e tornando nel niente, la corrida vista inuna domenica di ozio: vorrei vivere un poco di tempo ancora questo limbo dolce amaro e musicato a cui sicuramente il vino ha donato contorni alterati: ho sfiorato la sbronza in varie occasioni, il che ha contribuito a lasciarmi un'ebbrezza alcolica e sentimentale da liceale. E' anche per questo rimbimbimento che mi riprometto di tornare presto. Ma non solo. Alla fine rimango con l'impressione che i portoghesi siano, proprio come la città, parte di una nobiltá decaduta, data in pasto allo scorrere della storia, ma che non se la tirino affatto per questa loro grandeur, nè che si lamentino. Il che li rende in genere persone accoglienti, ospitali, ironiche e culturalmente ricche.

- Posted using BlogPress from my iPad

lunedì 27 giugno 2011

L'ingiustificata attualita' del passato




Ogni tanto mi capita, per una sorta di devozione che ho verso Mina (e non solo per le sue corde vocali), di riguardare i vecchi filmati della rai, in particolare canzonissima del 68. C'è qualcosa di tremendo, per me, in quelle trasmissioni televisive, quelle canzoni e in generale verso l'intera estetica di quel decennio (68/78). Piccola premessa, tanto per mettere le mani avanti; che si dica pure che sono nostalgico, ma credo le considerazioni che seguono siano dettate da razionalita' e non da fanatismo.
Nelle trasmissioni televisive di quegli anni (e canzonissima é solo un paradigma), la ricerca e sperimentazione estetica la fanno da padrone. Le inquadrature, i movimenti di macchina e la stessa illuminazione (pur nel diverso impatto del bianco e nero) regalano sorprese. Sembra ed é, una televisione piú libera di quella attuale, ferma invece su canoni divenuti dogmi. Tutto pare oggi impastato con la medesima farina, in un appiattimento totale verso un unico stile. Matrix, Porta a porta, Sanremo, Amici, XFactor, il GF e l'Isola dei famosi, sembrano tutti partoriti (pur nelle loro ovvie differenze) a livello estetico dalla stessa mente, con lo stesso gusto registico, lo stesso registro nei testi, gli stessi tagli per le luci.
Nelle trasmissioni del sessantotto la semplicità (anche naif, forse adeguata ad un pubblico vergine) delle trasmissioni, dei messaggi (il video di celentano che canta azzurro, ad esempio) fa da contraltare ad una estrema elaboratezza estetica.
L'assenza di carne esibita, magari non eccita la libido (e sarebbe tutto da dimostrare quanto le gambe delle gemelle Kessler abbiano eccitato o meno la generazione di mio padre) ma neanche riporta il discorso generale su un solo binario: quello del sesso. Certo, i pubblicitari insegnano che con il sesso si vende molto, e certo, l'intera industria dell'immagine deve aver inglobato questo concetto molto chiaramente, fino al parossismo di trasmissioni come il Bagaglino (tanto per citarne una) o dell'obbligatorio cinepanettone natalizio.

Tutto questo argomentare per arrivare al nocciolo: negli ultimi venti anni, un velo di caramello plastico é stato sparso sulla rappresentazione della realtà e sulla sua stessa percezione estetica, formando (anzi, deformando) attraverso le immagini una intera generazione (la mia). Credo che l'impoverimento ed il livellamento del linguaggio siano stati cercati e trovati, consapevolmente, nel tentativo, in parte riuscito, di uniformare la massa devota alla telecrazia. Poi, in maniera costante e sottovalutata, il mondo é penetrato attraverso molteplici canali informativi (principalmente Internet) con pluralità visuale, lessicale, esplodendo negli ultimi anni, rendendo il mondo di caramello sempre meno attuale, e riportando la vecchia canzonissima ad una ingustificata attualità.

sabato 25 giugno 2011

DVM9 - Italia, Vacanze intellegibili.

Da qualche anno il mio ruolo di viaggiatore si è fatto più corposo, essendo le mie trasferte in giro per il globo aumentate di intensità a causa di un buffo lavoro che neanche io so definire con esattezza. Mi sono trovato così involontario protagonista di disavventure causate dall’essere il contrario del viaggiatore on the road consumato. Al contempo il trovarmi in luoghi talmente ricchi di profumi, colori, sapori, esperienze e vite diverse dalla mia, mi ha posto in condizione di non poter fare a meno di raccontarli. Il DVM è quindi la fedele ricostruzione dei miei viaggi, di ciò che ho visto e vissuto, sempre in prima persona.

Diario del Viaggiatore Maldestro
Italia, Viareggio - Luglio 2010

L’estate impazza: il caldo stramazza le eroiche schiere di lavoratori al suolo, squagliando le loro residue idee di gloria ed immolando tutto l’immolabile all’altare del mito: la Vacanza. La sacralità delle ferie è dogmatica, un concetto assorbito dai pori della pelle sin dall’infanzia, indubitabile ed assoluto. E’ l’ora d’aria del recluso, la boccata d’ossigeno del palombaro, in una parola "La Vacanza E’", tutto il resto dipende e ruota intorno a questa scadenza di durata bisettimanale e insieme traguardo annuale. L’obbiettivo, perseguito con forza e cieca perseveranza dalle allegre schiere (milioni, persino oserei dire miliardi) degli adepti, è il sistematico sputtanamento delle risorse (misere) accumulate negli undici duri mesi di astinenza.
E allora eccoci, finalmente azzurri e sorridenti, occhiali scuri, guidare sudati nel bel mezzo di una colonna di beati, a fare la distanza che ci separa dal Paradiso in una bara di metallo e ruote; fuori l’asfalto è una melma fusa con le gomme, dentro una piacevole brezza condizionata viene sparata a manetta, segno di uno status quo raggiunto che i meno fortunati, rimasti ahimè una minoranza, dai loro finestrini abbassati invidiano, e questo conta. Verrebbe anche quasi da bestemmiare per il passo d’uomo che siamo costretti a tenere, ma pazienza, è comunque Vacanza, la serotonina può riprendere ad espandersi in un cervello che si avvia felice verso la completa anestesia.

E’ così che, passata qualche ora, riusciamo ad immergerci dopo spericolati millimetrici fantasmagorici parcheggi, nella folla multiforme devota al solleone. Il piede affondato nella sabbia rovente ed il conseguente balletto sulle punte sono chiare conseguenze di una sola certezza: siamo al mare. Solita roba, qualche seno esibito, chili di cellulite nascosta, un paio di palestrati fingono trottando un footing ed il bagnasciuga è frequentato manco fosse sabato sera in centro. Dietro tutto questo, si intravedono donne gommone galleggiare al largo, delimitare la balneazione. Oltre a loro, dove lo sguardo incontra l’orizzonte, milioni di euro galleggiano sotto forma di piroscafi, panfili, vele. Tuffarsi diventa un dovere. Ma è una volta al largo che si ha il vero spettacolo. Voltarsi verso la riva svela un mondo: a perdita d’occhio lungo la spiaggia, ombrelloni rossi e tende blu, equidistanti e regolari, che suddividono geometrie sulla sabbia, come in una città invisibile, definendo i confini dei bagni. L’acquisto di una porzione di spiaggia, il suo affitto per qualche settimana, è concesso al modico sacrificio di svariati stipendi medi. Un gelato richiede un investimento. Per una bibita si consigliano pratiche bancarie. Ma pazienza, è comunque Vacanza e siamo al mare.
Cinquanta metri di rovente spiaggia più indietro c’è il castello e feudo: il Bagno, con i suoi abitanti. Prima nota: il Bagno è provvisto di piscina. Seconda: la piscina è molto frequentata. Terza: pare che le piscine siano ormai un must in tutti i bagni. Mi affaccio a controllare: la piscina vuole la cuffia. Stesso scenario di prima. Seni, cellulite, bronzea palestra e gommoni galleggianti. Con una differenza, hanno tutti la cuffia. E mancano i panfili e l’orizzonte. Intorno, il Bagno è provvisto di ristorante con annessi tavoli, camerieri, cuochi, sala giochi da pargolume, bar, ping pong, biliardino, tricchetracche e, ovviamente, le cabine. Cellulari squillano allegri continui e polifonici intervallati dagli schiamazzi degli under dieci. Intanto, due umanità si incrociano: una, seminuda e opulenta, si muove in verticale, dalla spiaggia al mare e viceversa, mentre un altra, vestita, povera, multietnica e fatta di venditori, traversa in orizzontale, parallelamente alle onde, i condomini sulla spiaggia. Ogni tanto si ferma, espone la merce e se ne và. La vita pullula, ma senza ansia, siamo in Vacanza.

giovedì 23 giugno 2011

DVM8 - Politiche dominicane

Da qualche anno il mio ruolo di viaggiatore si è fatto più corposo, essendo le mie trasferte in giro per il globo aumentate di intensità a causa di un buffo lavoro che neanche io so definire con esattezza. Mi sono trovato così involontario protagonista di disavventure causate dall’essere il contrario del viaggiatore on the road consumato. Al contempo il trovarmi in luoghi talmente ricchi di profumi, colori, sapori, esperienze e vite diverse dalla mia, mi ha posto in condizione di non poter fare a meno di raccontarli. Il DVM è quindi la fedele ricostruzione dei miei viaggi, di ciò che ho visto e vissuto, sempre in prima persona.

Diario del Viaggiatore Maldestro
Repubblica Dominicana, Nagua - Giugno 2011

Ore dodici, incontro con il sindaco di Nagua, Angel de Jesus Lopez, detto il Compa. Nagua é una città di circa settantamila abitanti sita nel nord est della Repubblica Dominicana, ed é la capitale della Provincia Maria Trinidad Sanchez. Per dire, vado a incontrare uno importante. E infatti, per l'occasione, sfodero una camicia e un paio di pantaloni lunghi (che a 35 gradi di media coniugati a settantacinque per cento di umidità é un esercizio di ascesi spirituale). La questione sul tavolo sarà semplice: l'azienda in cui lavoro produce un tot di rifiuti, il comune di Nagua possiede una discarica che vorrei utilizzare.

L'auto mi porta vicino al luogo dell'incontro e riparte: Jorge, l'incaricato dell'azienda che guida, deve sbrigare altre pratiche in giro, mi tornerà a prendere non appena io abbia finito. Armato delle migliori intenzioni, mi preparo e affronto l'edificio comunale dove il Compa mi ha dato appuntamento. Dopo breve anticamera vengo introdotto nell'ufficio del sindaco, dove un sedicente funzionario (che scambio per il mio uomo) mi fa parlare cinque minuti filati, prima di confessarmi che no, non é il sindaco, che il Compa mi aspetta al ristorante, a circa due chilometri dal comune, testualmente "donde Hierro Rafa". Informali, penso. Magari mi avesse avvertito prima, mi sarei organizzato. Va bene comunque. Ahimé sono a piedi. Chiamo al cellulare Jorge e mi faccio tornare a prendere, destinazione Hierro Rafa.
Quando approdo, il Compa mi accoglie abbassando il finestrino oscurato della sua Hummer nera. E' un dominicano di cinquanta anni, pelato, ma dentro alla jeep sembra un gangsta. Gli anelli che porta al dito e il portachiavi dell'auto diamantato contribuscono al luogo comue. Dentro all'Hummer, grazie al cielo, non sta suonando un rap a volume intossicante.

Aspettami cinque minuti, dice, siediti lí, io finisco qui. "Lí" é una panchina in ferro all'aperto (Hierro Rafa é un fabbro) ai soliti trentacinque gradi e "qui" é l'interno di un Hummer a 18 gradi di aria condizionta. I cinque minuti dominicani, và detto, sono una variabile elastica; da dieci a trenta minuti. Ed è già un lusso. Quando un dominicano dice "orita" dovete preoccuparvi seriamente: possono passare anche giorni interi prima che quello che vi hanno promesso accada. Comunque a me và straordinariamente bene, che passano solo quindici minuti e il Compa scende dall'auto. Non mi sono squagliato piú di un tot, prendo il respiro pronto a sciorinare tutta la mia tiritera, che il Compa mi spiazza ancora.

Che ne dici se andiamo a discutere mentre beviamo qualcosa? Ok, Compa (il lato buono é che siamo già amici di lunga data, ci damo del tu) ma sono a piedi. Nessun problema, ti porto io (il lato cattivo é che l'Hummer del Compa é già zeppa di gente e io sono mèzzo di sudore che sembro carta moschicida). Cmq riparto, schiacciato tra due ragazze (Segretarie? Apprendiste? Figlie? Ganze?) e un oscuro funzionario a cui il Compa si rivolgerà sempre a gesti. Nonostante i diciotto gradi (aria condizionata) continuo a sudare appiccicoso, ma nessuno dei miei vicini se ne duole, apparentemente. Il Compa mi scarrozza alla guida, mentre felicemente assolve a una decina di telefonate fiume, saluta gente, si accerta dei lavori in un paio di sterrati e si ferma a parlare nel mezzo della strada (senza mai scendere dalla jeep) con quattro altri conducenti, incurante delle code che si formano dietro ai suoi colloqui improvvisati. Dopo circa venti minuti di macchina siamo dalla parte opposta della città, entriamo in un comedor (trattoria) e finalmente ci sediamo uno di fronte all'altro. Altro respiro per dare il la al mio discorsino, ed il Compa si produce nuovamente in una telefonata che mi terrà in standby per altri venti minuti, che chiarisce alcune visioni erronee che avevo della politica in Repubblica e mi apre nuove prospettive.

Per inciso, i partiti in repubblica dominicana sono due: Partido Revolucionario Dominicano (PRD) E Partido de la Liberacion Dominicana (PLD). El Compa ha militato in entrambi (alla faccia del trasformismo), ed ora pare che entrambi vogliano fargli le scarpe. La frase che ripete più spesso al telefono é "sono pronto alla guerra come alla pace"; alla quinta volta che glielo sento ripetere diventa il mio guru personale. Alcuni passaggi sono interessanti, principalmente a dimostrare una tesi ovvia: gli uomini politici - di un certo calibro - non sono interessati ad altro che a perpetrare il proprio potere. I voti qui si comprano alla luce del sole, tanto che si é rovesciata la stessa idea di voto: sono i cittadini che si rivolgono direttamente ai candidati per sapere quanto sono disposti a pagare per ottenere il loro voto. L'ignoranza ed il bassissimo livello di istruzione (sulla cui qualità imbarazzante posso testimoniare vari aneddoti) rendono il popolo gestibile, addomesticabile e lo stesso paese preda dei debiti nei confronti del Fondo Monetario Internazionale, che guida profondamente le scelte del governo in materia fiscale, economica, gestionale. Il FMI pare essere una sorta di usuraio internazionale, che guida le politiche dei paei sottosviluppati "consigliando caldamente" ditte a cui dare appalti, tasse da applicare e tipologia di ritorno del prestito. In genere, il prestito serve al paese stesso per ungere ed arricchire innanzitutto la classe politica e poi fare qualche opera di utilita' pubblica: chi paga il risultato di queste operazioni e' - nel 99% dei casi - la classe meno abbiente, attraverso incrementi dei costi su derrate alimentari e carburanti.

Il Compa non esita un secondo quando - finita la telefonata - si concede un attimo alla mia piccola questua; "esto es un pais subdesarrollado", sono le sue prime parole. Un paese sottosviluppato ad arte, nel quale la classe politica è, a tutti gli effetti, la zecca più affamata, che riduce la possibilità reale di sviluppo. Ahimé, lo stesso identico sistema, con poche varianti, in tutti i luoghi del mondo. L'ignoranza rende la gente schiava, la politica l'incanta con promesse e la grande finanza la vessa con costi sempre maggiori, che lo stesso popolo fatica a comprendere, grazie alla sua ignoranza.

Location:Nagua,Repubblica Dominicana

sabato 18 giugno 2011

Otello Nano

Abituato come sono al racconto di folle oceaniche in attesa del verbo o a supporto del martire, lo spettacolo un poco triste e improvviso di Silvio Berlusconi a processo senza nessuna ola ad attenderlo, o della sua telefonata e conseguente discorso ad una sala completamente vuota, mi fa lo stesso effetto dell'essere in un teatro a fine rappresentazione. Se ne sono andati tutti, il sipario é stato alzato un'altra volta, e sulla scena é scomparso il mondo di cartapesta, legno e carne che fino a pochi minuti prima mi aveva incantato. Al suo posto la realtà poco affabulante di tecnici al lavoro per smontare. Sempre interessante, per me, ma alla fine un poco deludente: scopri "come avevano fatto a" farti credere che il tal personaggio potesse volare, o a far piovere in scena. Molto spesso sono segreti di Pulcinella, cose semplici. Il teatro alla fine si riduce a pochi mezzi economici, non ci sono nella gran parte dei casi, tecnologie fuori dalla portata del senso comune.
Ecco, gli anni passati sembrano essere stati una rappresentazione continua, spacciata per realtà - come del resto fa il teatro, agli spettatori viene richiesta, per mutuo accordo, la sospensione dell'incredulità- ed ora che il sipario si rialza a fine recita, i trucchi usati sono chiaramente visibili. Ecco "come avevano fatto a" spacciare per eroi osannati e perseguitati (come Otello) attori di scarsa levatura. Ecco come intere claque venivano organizzate ad hoc, come le inquadrature televisive costruivano piazze strabordanti e roboanti di felicità. Eccoli lí, i trucchi, ancora una volta semplici. Tutto uguale al teatro. Con la palese differenza che l'intrattenimento in teatro affascina per qualche ora, lasciandoci piú poveri di pochi euro e ricchi (se lo spettacolo vale la pena) di emozioni, incommensurabili.
Questo intrattenimento nazionale é durato diciassette anni, e credo abbia impoverito il paese intero sia a livello economico, sociale, etico che -sopratutto - culturale. E decisamente lo spettacolo non é valso la pena di esser visto (e vissuto).

venerdì 3 giugno 2011

DVM7 - India, polvere e tecnologia, parte2

Da qualche anno il mio ruolo di viaggiatore si è fatto più corposo, essendo le mie trasferte in giro per il globo aumentate di intensità a causa di un buffo lavoro che neanche io so definire con esattezza. Mi sono trovato così involontario protagonista di disavventure causate dall’essere il contrario del viaggiatore on the road consumato. Al contempo il trovarmi in luoghi talmente ricchi di profumi, colori, sapori, esperienze e vite diverse dalla mia, mi ha posto in condizione di non poter fare a meno di raccontarli. Il DVM è quindi la fedele ricostruzione dei miei viaggi, di ciò che ho visto e vissuto, sempre in prima persona.

Diario del Viaggiatore Maldestro India - Kochi, Kerala, Febbraio 2007

Eccomi ancora in India, aspetto il bus che mi porterà da Bangalore a Coimbatore. In questa parte dell'India é dislocato il distretto tecnologico, dove gran parte dello sviluppo economico del paese si concentra. Alcune cose mi colpiscono. Nonostante l'ovvio progresso che il paese sta vivendo, rispetto al mio ultimo viaggio di dieci anni fa, le masse rimangono escluse dal boom economico. La povertà é palpabile, ovunque. Bangalore conta circa sei milioni di abitanti, é una metropoli congestionata, sporca, polverosa, dai forti contrasti. Una società che punta al consumo piú sfacciato é miscelata indissolubilmente a spiritualità e religione. Templi e immondizia si inseguono senza soluzione di continuità, ma non ho visto, come qualche tempo fa, corpi morenti in strada. Un bel passo in avanti. Bangalore é anche soprannominata la Silicon valley del sud est. Infatti la diffusione della tecnologia é straordinaria: cellulari e internet sono alla portata di chiunque. Giro nel centro città: i call center di mezzo mondo sono qui. Per inciso, l'uffico reclami di molte grandi aziende americane, come General Electric, Ford, é in uno dei palazzi del centro. In sostanza la casalinga dell'Michigan che vuol sapere perché il proprio frigo non funziona, crede di chiamare dietro casa, ma gli stanno rispondendo da Bangalore. I corsi di addestramento del call center sono istruttivi: insegnano a rispondere con accento del sud, niuiorchese, o californiano, a seconda della provenienza della chiamata.
Leggo la stampa locale (in inglese): fa notizia un chip antistupro che dovrebbe essere distribuito a tutte le lavoratrici che sono costrette a tornare a casa di notte. Funziona come un piccolo gps personalizzato, in grado di avvertire la polizia in caso di aggressione. Fantascienza, per me.
In visita ad una università, una ragazzina di ventuno anni dagli occhi scattanti mi spiega che sta studiando la possibilità di modificare geneticamente alcune sementi, per renderle piú resistenti ai parassiti. "Senza alcun danno per l'uomo" puntualizza, mentre la ascolto affascinato.

Mentre attendo alla fermata il mio pullman, ripercorro mentalmente quanto visto in questi giorni: ho assorbito come una spugna, i sensi non hanno potuto registrare tutta l'incredibile mole di informazioni e sensazioni. In piazza sta arrivando il mezzo che in una ora e mezzo mi porterà a Coimbatore. Nota bene. Viaggiare sulle strade dell'India, é un'esperienza molto particolare. Per chi, come me, non c'é abituato, puó sembrare di rischiare la morte a ogni minuto. Eppure, analizzandola meglio, non ho mai visto un incidente, e tutte le macchine sono intonse. Mistero. Un amico dello Sri Lanka mi spiega l'arcano. "La guida in India é incomprensibile ai piú, ma loro - gli indiani - hanno un loro codice, comunicano benissimo". Effettivamente con tutti i mezzi con cui ho viaggiato, dal taxi al tuctuc (per noi italiani, un'Ape con passeggeri) all'auto, mi sono sentito sempre sull'orlo della catastrofe. Tutti i guidatori si affannano come folli in corse spericolate, usando il clackson a raffiche continue. Eppure.
Ecco il mio mezzo che si fa spazio fra la gente.
Medito sulla ricchezza, sulla tecnologia mentre salgo. Lo sviluppo economico, il tocco dorato non ha certo toccato tutti gli strati della popolazione, mi dico, guardandomi intorno. Sembra di essere in una specie di Purgatorio: l'onda umana brulica nella piazza mentre cerco posto sul pullman. Povera gente, penso, accalcata mentre la storia gli passa davanti, a un passo dalle progressive sorti, eppure cosí lontani dal beneficiarne realmente. In quel momento sale sul bus un tizio vestito solo con un panno bianco, sporco e maleodorante. Ha uno zaino con se. Si siede accanto a me mentre io intanto cerco invano di spedire un sms a mia moglie. Niente da fare, non ho campo. Guardo il poveraccio accanto a me. Avrà cinquanta anni, ma ne dimostra almeno dieci in più. Le sue rughe sono rese piú evidenti dalla polvere che ha sul viso. Lo compatisco, dall'alto della mia superiorità culturale ed economica. Vorrei scriverne a mia moglie, maledizione, ma ancora non ho campo. É in quel momento che accade.
Neanche mi avesse letto nel pensiero il povero paría, sporco, arretrato, infila una mano nel suo zaino. Ne estrae un piccolo portatile. Lo apre. Dal portatile estrae una piccola antenna. Apre un browser e inizia a navigare in Internet, mentre io mi trasformo all'istante in un piccolo idiota retrogrado con preconcetti frantumati, un cellulare inutile nelle mie mani, e la bocca spalancata in una smorfia di stupore beota.


- Posted using BlogPress from my iPad



Location:Bangalore, India