venerdì 14 ottobre 2011

DVM13 - Bombay onirica


Ospito oggi per la prima volta una Viaggiatrice Maldestra, attratta quanto me dalle esperienze di viaggio, al di là della pura descrizione da "trip advisor", cosa che su questo blog, decisamente, non troverete mai. La ringrazio, e invito chiunque abbia voglia di condividere le sue esperienze di "Viaggiatore maldestro" a inviare il suo materiale all'indirizzo mail 
info@metro-polis.it. 
A patto che il Diario del Viaggiatore Maldestro rimanga, sempre, la fedele ricostruzione delle esperienze, di ciò che è stato visto e vissuto, sempre in prima persona, da chi scrive.

Diario del Viaggiatore Maldestro
Bombay, India - Gennaio 2008

Le tre del mattino. Uscendo dall'aeroporto m'invade l'odore di Mumbai. 
Il primo passaggio è davanti alla baraccopoli di una città che conta 16 milioni di abitanti. Sul taxi nero e giallo siamo in quattro: gli occhi incollati ai finestrini corrono veloci stando dietro ai suoni di clacson, e nessuno parla. Non c'è niente da dire: commenti sul volo di nove ore appena finito, se qualcuno ha fame o sete, cosa si fa domani....no.
Il nostro autista ci presenta la sua statuina di Ganesha (la divinità dalla testa di elefante e il corpo di uomo, che sarebbe poi diventata la mia “preferita” in assoluto), sapientemente incollata sul cruscotto, davanti al volante, sulla cui proboscide declina sinuosa una ghirlanda di fiori arancio vivo. Mi sembra che questo viaggio non finisca. I tetti di lamiera dello slum e poi i negozi dalle insegne in hindi e ancora il mare e un infinito malecón mille volte più ammaliante.
Siamo arrivati di fronte al nostro albergo, immerso in una scacchiera scomposta di strade e con davanti alti alberi gracchianti. I corvi sono decisamente poco discreti, il loro suono sovrasta tutto il resto, e io sono già in ipnosi. Scendendo dal taxi guardo dentro la porta a vetri opaca dell'albergo e vedo più persone nell' ingresso, tutte distese a dormire: alcuni indiani con la divisa da lavoro, una specie di livrea spartana, e uno di questi con un grosso turbante bianco (un sikh, avrei capito poi).
Tutti si svegliano e portano le nostre valigie in camera, gentili e pronti a ricevere le nostre prime rupie da spendere. La porta si chiude dietro di me e il mio amore, e lo sguardo va verso la finestra che in un attimo è spalancata. In strada ci sono vari gruppetti di uomini seduti sui marciapiedi che discutono, e ridono, e poi locali luminosi, carri che passano trainati da cavalli... polvere che sale.. sento i primi odori dell'India con attenzione. Quasi tre sigarette in mezz'ora e siamo in strada. 
Io e il Matteo. 
I nostri compagni di viaggio sono apparentemente spossati e forse anche un po' intimoriti, e li capisco. Ma DEVO vedere, ancora non so che il senso della vista in India è di un'intensità a tratti tenue rispetto a tutti gli altri sensi. Percorriamo la strada asfaltata che all'improvviso diventa una piazza sterrata e l'odore si fa più consapevole. Incenso, spezie, escrementi, cibi arrostiti e fritti, profumo di fiori. Una moltitudine di umanità fragile e potente che vive in un luogo che per me è altro, eppure già  parte essenziale di tutto il mio mondo. Le mucche magroline scampanellano lente e placide ed io gli accarezzo il muso: gli occhi grandi, lo sguardo buono. Vorrei compare queste foglie che masticano tutti... betel... sostanza onirica?!! 
Troppo indagare anche il gusto. 
Non so quanto è durato questo nostro primo passaggio stentato e stregato, ma ricordo l'intensità devastante della mia prima notte indiana.

domenica 9 ottobre 2011

DVM12 - Epernay, Kebab & Champagne


Da qualche anno il mio ruolo di viaggiatore si è fatto più corposo, essendo le mie trasferte in giro per il globo aumentate di intensità a causa di un buffo lavoro che neanche io so definire con esattezza. Mi sono trovato così involontario protagonista di disavventure causate dall’essere il contrario del viaggiatore on the road consumato. Al contempo il trovarmi in luoghi talmente ricchi di profumi, colori, sapori, esperienze e vite diverse dalla mia, mi ha posto in condizione di non poter fare a meno di raccontarli. Il DVM è quindi la fedele ricostruzione dei miei viaggi, di ciò che ho visto e vissuto, sempre in prima persona.

Diario del Viaggiatore Maldestro
Epernay, Francia - Settembre 2011

Kebab e champagne è un ossimoro, forse una bestemmia, ma non ci penso, a Epernay, centro per eccellenza della produzione delle famose bollicine nonchè sede, fra l'altro, dei ventotto chilometri di cantine del Moet&Chandon. Azzanno il panino arabo mentre mi guardo intorno. Tutto, in questo posto, gira ovviamente intorno allo champagne, che qui non è solo vino, ma storia, turismo, paesaggio, lingua.

Dopo i primi di giri di scrocco assoluto (al locale ufficio del turismo ci sono, in offerta, almeno quattro degustazioni), la bussola gira sulle cantine Mercier, la cui manginficenza è certificata dal grande manifesto sulla strada del baffuto e ottocentesco Monsieur Mercier, il cui volto rubicondo (anche se la foto è in bianco e nero è ovvio che abbia le guancie rossicce) sorride dietro lunghi baffi bianchi.
Piccola parentesi: se non fosse giá chiaro, non capisco assolutamente niente di champagne. Lo apprezzo, naturalmente, ma non lo decifro, ecco. Non ne so i vitigni, la produzione, i metodi, la storia - e decisamente non sono qui per impararla. Sono l'impersonificazione di un beone ignorante il cui unico scopo è bere. Per cui, quando scendo dalla macchina nel cortile della Mercier a gola secca, e mi appropinquo all'entrata con Eva, la mia compagna di viaggio, sono deluso e comincio a dubitare di essere a Disneyland. Pullmann e guide turistiche mettono in fila improbabili visitatori - che ci fanno dei bambini di dieci anni? (forse ad imparare storia, la mia ottica da ubriacone non me lo suggerisce, sul momento) La visita alle cantine Disneyland, costa comunque una decina d'euro, senza degustazione, che si paga a parte. Senza neanche bere?

Giro sdegnato i tacchi e prendo il toro per le corna, cercando altro.
Pochi metri piú avanti, passando fra una serie di fabbricati piú o meno uguali, parcheggio in una casa, il cancello è aperto ed entriamo in un piccolo atrio in legno, con un bancone, bottiglie, un paio di tavoli e dieci sedie alte. Un pub chic. Una ragazza informa, c'è la possibilitá di degustare, a cifra modica, tre bicchieri a scelta dal catalogo scegliendo fra un decina di qualitá. Vada per la degustazione.
Piccola nozione acquisita: fu Dom Perignon (un monaco benedettino) a inventare nel settecento il metodo tipico. Si narra che abbia esclamato ai confratelli "sto bevendo le stelle!". Ed effettivamente, con l'entrata in circolo del settimo bicchierino di champagne in quindici minuti, il tempo rallenta, il corpo si rilassa. Insolitamente, le gambe reggono benone: miracoli del vinello. Tronfio della mia mancanza di cultura delle bollicine, ho comunque apprezzato alcune degustazioni, le differenze fra le qualitá sono palesi.
Eppure non sono ancora appagato. Mi sento ancora nel lusso, bonton, un poco sostenuto della bevuta raffinata, intellettuale. Vorrei una cantina piccola, con poca produzione, con dentro una piccola famiglia francese un poco naïf, con un numero di visitatori piccolo e nessun bambino alcolizzato. Per questo riprendiamo il mezzo e ci avventuriamo fuori da Epernay, in un viaggio nella campagna, alla ricerca di cantine meno rinomate, più genuinamente semplici.

Ed è così, senza troppa difficoltà, che giungiamo ad Ambonnay, e sbattiamo in un cortile un poco dismesso. Suonare il campanello in questa quiete sembra una bestemmia, ma è quello che facciamo per capire dove poter trovare una cantina. Che ovviamente è esattamente il luogo in cui ci troviamo. Una piccola e corpulenta donnina sui settanta ci fa accomodare in casa, in una stanzina con letto e tavolino. Stappa una bottiglia. Ne producono duemila esemplari l'anno. Lo champagne mi sembra buonissimo. Ho trovato quello che cercavo. Ed è allora che capisco.

Il piacere del gusto, gira intorno a mille altri sensi, probabilmente anche alle aspettative. Mi accorgo di cosa voglia dire - quando si parla di bere, mangiare - essere nel luogo di produzione; di come insomma tutta l'esperienza si faccia piú ricca, forse dispersiva, meno concentrata sul piacere unico del palato, ma certamente piú sfaccettata. I sensi coinvolti sono perlomeno più allertati, come se si vivesse una "realtà aumentata", assorbita per osmosi dall'ambiente intorno.
E tutto questo rende il gioco valido di essere vissuto.