Diario del Viaggiatore Maldestro
Epernay, Francia - Settembre 2011
Kebab e champagne è un ossimoro, forse una bestemmia, ma non ci penso, a Epernay, centro per eccellenza della produzione delle famose bollicine nonchè sede, fra l'altro, dei ventotto chilometri di cantine del Moet&Chandon. Azzanno il panino arabo mentre mi guardo intorno. Tutto, in questo posto, gira ovviamente intorno allo champagne, che qui non è solo vino, ma storia, turismo, paesaggio, lingua.
Dopo i primi di giri di scrocco assoluto (al locale ufficio del turismo ci sono, in offerta, almeno quattro degustazioni), la bussola gira sulle cantine Mercier, la cui manginficenza è certificata dal grande manifesto sulla strada del baffuto e ottocentesco Monsieur Mercier, il cui volto rubicondo (anche se la foto è in bianco e nero è ovvio che abbia le guancie rossicce) sorride dietro lunghi baffi bianchi.
Piccola parentesi: se non fosse giá chiaro, non capisco assolutamente niente di champagne. Lo apprezzo, naturalmente, ma non lo decifro, ecco. Non ne so i vitigni, la produzione, i metodi, la storia - e decisamente non sono qui per impararla. Sono l'impersonificazione di un beone ignorante il cui unico scopo è bere. Per cui, quando scendo dalla macchina nel cortile della Mercier a gola secca, e mi appropinquo all'entrata con Eva, la mia compagna di viaggio, sono deluso e comincio a dubitare di essere a Disneyland. Pullmann e guide turistiche mettono in fila improbabili visitatori - che ci fanno dei bambini di dieci anni? (forse ad imparare storia, la mia ottica da ubriacone non me lo suggerisce, sul momento) La visita alle cantine Disneyland, costa comunque una decina d'euro, senza degustazione, che si paga a parte. Senza neanche bere?
Giro sdegnato i tacchi e prendo il toro per le corna, cercando altro.
Pochi metri piú avanti, passando fra una serie di fabbricati piú o meno uguali, parcheggio in una casa, il cancello è aperto ed entriamo in un piccolo atrio in legno, con un bancone, bottiglie, un paio di tavoli e dieci sedie alte. Un pub chic. Una ragazza informa, c'è la possibilitá di degustare, a cifra modica, tre bicchieri a scelta dal catalogo scegliendo fra un decina di qualitá. Vada per la degustazione.
Piccola nozione acquisita: fu Dom Perignon (un monaco benedettino) a inventare nel settecento il metodo tipico. Si narra che abbia esclamato ai confratelli "sto bevendo le stelle!". Ed effettivamente, con l'entrata in circolo del settimo bicchierino di champagne in quindici minuti, il tempo rallenta, il corpo si rilassa. Insolitamente, le gambe reggono benone: miracoli del vinello. Tronfio della mia mancanza di cultura delle bollicine, ho comunque apprezzato alcune degustazioni, le differenze fra le qualitá sono palesi.
Eppure non sono ancora appagato. Mi sento ancora nel lusso, bonton, un poco sostenuto della bevuta raffinata, intellettuale. Vorrei una cantina piccola, con poca produzione, con dentro una piccola famiglia francese un poco naïf, con un numero di visitatori piccolo e nessun bambino alcolizzato. Per questo riprendiamo il mezzo e ci avventuriamo fuori da Epernay, in un viaggio nella campagna, alla ricerca di cantine meno rinomate, più genuinamente semplici.
Ed è così, senza troppa difficoltà, che giungiamo ad Ambonnay, e sbattiamo in un cortile un poco dismesso. Suonare il campanello in questa quiete sembra una bestemmia, ma è quello che facciamo per capire dove poter trovare una cantina. Che ovviamente è esattamente il luogo in cui ci troviamo. Una piccola e corpulenta donnina sui settanta ci fa accomodare in casa, in una stanzina con letto e tavolino. Stappa una bottiglia. Ne producono duemila esemplari l'anno. Lo champagne mi sembra buonissimo. Ho trovato quello che cercavo. Ed è allora che capisco.
Il piacere del gusto, gira intorno a mille altri sensi, probabilmente anche alle aspettative. Mi accorgo di cosa voglia dire - quando si parla di bere, mangiare - essere nel luogo di produzione; di come insomma tutta l'esperienza si faccia piú ricca, forse dispersiva, meno concentrata sul piacere unico del palato, ma certamente piú sfaccettata. I sensi coinvolti sono perlomeno più allertati, come se si vivesse una "realtà aumentata", assorbita per osmosi dall'ambiente intorno.
E tutto questo rende il gioco valido di essere vissuto.
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