domenica 28 agosto 2011

Attivi consumatori passivi

In Italia negli ultimi anni il consumo di psicofarmaci è aumentato del 75%. Come osserva il dottor Giuseppe Nicolò, responsabile del Centro Salute Mentale (CSM) Boccea di Roma, nonché presidente europeo della Società di Ricerca in Psicoterapia, “L'aumento è legato all'emergenza di nuove patologie, derivanti dallo stress e dalle condizioni di vita attuale, e soprattutto a una maggiore sensibilità nei confronti della malattia mentale, per cui è più facile che le persone chiedano aiuto e si rivolgano ad uno specialista”.
Fondamentalmente due cause, quindi. Da un lato siamo più stressati, dall'altro siamo consapevoli di esserlo e quindi più “sensibili”. Paradossalmente, non si prendono ansiolitici perché consapevoli di essere stressati, bensì il contrario: sappiamo di essere stressati perché prendiamo ansiolitici.

Credo che - come per secoli siamo stati quello che, alternativamente, mangiavamo o facevamo - oggi siamo ciò che vediamo. Lo specchio naturale delle nostre deviazioni, le immagini, sono un riflesso di noi non tanto per ciò che mostrano, quanto per ciò che comunicano. Più della violenza in sé è la cultura della violenza che crea terrore. Ovvero: siamo tanto più terrorizzati, ad esempio, dall’idea di criminalità derivata dal subirne quotidianamente le immagini, di quanto non effettivamente se ne siano subite le conseguenze. La nostra è una paura indotta. Come indotto mi appare lo stress ed anche il nostro esserne consapevoli. Siamo in definitiva in un regime di totale passività, guidati da cose che non conosciamo (perché spesso ne siamo informati, anziché farne diretta esperienza). Questa nostra passività si estende fino ad abbracciare la vita con comportamenti totalizzanti, vestendo una maschera benigna: quella dell'attivismo.
Insomma, il cosiddetto essere attivi, cioè avere e perseguire obbiettivi concreti, scalare il successo, garantirsi beni materiali, rappresenta per il senso comune il viatico verso la felicità. Che è tutto sommato l'esatto contrario, laddove bisogni indotti e l'insoddisfazione conseguente al non raggiungimento di tutti i beni materiali provocano infelicità. Del resto non è possibile, il bene materiale si sposta sempre più lontano ed offre un piacere circoscritto nel tempo e nello spazio: godo della cosa che ho ottenuto nel momento in cui la ho ottenuta e per poco tempo: lontano, nel tempo e nello spazio, ne godo certo molto poco. Questo essere guidati, essere schiavi di bisogni indotti ci rende passivi, in balia di altro da noi stessi, mentre, con un geniale ribaltamento di prospettiva, questo genere di comportamento passa sotto l'egida della produttività, dell'attivismo, del controllo totale della propria vita, della positività delle progressive sorti dell'umana gente.
Chi si trovasse a svolgere, al contrario, una attività contemplativa nei confronti del mondo e quindi ad espletare una azione decisamente attiva sul dato esperienziale, con un doppio carpiato del senso viene dipinto come passivo, non produttivo, negativo per la società.
La passività (quella reale), soprattutto del pensiero, ancora una volta, conviene.
A chi, non è dato capirlo esattamente. Sicuramente ai produttori di psicofarmaci, nonostante (cito ancora il Dott.Nicolò) “Gli ansiolitici siano dei farmaci la cui efficacia non è mai stata dimostrata. Sono farmaci che danno solo un momentaneo benessere. Sono efficaci, quindi, solo nel breve periodo. Purtroppo, sono tra i farmaci più utilizzati, anche se determinano nel paziente dipendenza, l'astinenza quando il farmaco non viene assunto”. Droghe. Potenti e legali. Che creano dipendenza.

La passività (dipendenza) si traduce nelle immagini che, come società, diamo di noi. Siamo ciò che vediamo, ancora una volta, non tanto per ciò che le immagini mostrano di noi, quanto per ciò che suggeriscono. L'immagine tende a mostrare un solo significato, quello apparente, immediato. La pluralità di significati soggiacenti al primo arriva spesso sotto pelle. Come accade nella comunicazione pubblicitaria. Una ragazza seminuda che guida una macchina sportiva è solo una ragazza seminuda o al tempo stesso rappresenta un forte richiamo sessuale istintivo per la categoria target (maschio e benestante) che generalmente acquista quel tipo di mezzo. Questo genere di bisogno indotto rende il target piu’ felice, nel tempo e nello spazio?

E' il gioco delle matrjoske, dove le carte nascoste truccano la partita e tutto diviene il contrario di tutto, gli attivi assertivi (schiavi) da imitare, i passivi contemplativi (liberi) da rifuggire. La molteplicità, il moltiplicarsi dei significati stratificati che giacciono dormienti all'interno delle immagini, rappresentano la loro forza comunicativa ed allo stesso tempo un'arma pericolosa. Proprio per questo fattore costitutivo, essenziale, passivo ed attivo allo stesso tempo, siamo (come società) ciò che vediamo, l’immagine che diamo di noi.
Che accadrebbe se, in questo finale di partita, le immagini cessassero di rappresentarci e acquisissimo coscienza del benessere reale e delle necessità non indotte? L’economia globale ne risentirebbe? Cesseremmo il nostro ruolo attivo di consumatori passivi?


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