sabato 7 maggio 2011

DVM4 - AmericAnabasi, parte3

Da qualche anno il mio ruolo di viaggiatore si è fatto più corposo, essendo le mie trasferte in giro per il globo aumentate di intensità a causa di un buffo lavoro che neanche io so definire con esattezza. Mi sono trovato così involontario protagonista di disavventure causate dall’essere il contrario del viaggiatore on the road consumato. Al contempo il trovarmi in luoghi talmente ricchi di profumi, colori, sapori, esperienze e vite diverse dalla mia, mi ha posto in condizione di non poter fare a meno di raccontarli. Il DVM è quindi la fedele ricostruzione dei miei viaggi, di ciò che ho visto e vissuto, sempre in prima persona.

Diario del Viaggiatore Maldestro

Stati Uniti - Orlando, Florida, Gennaio 2008

Parte3

Nuova mezz'ora di trasferimento sulla highway 4 con Tony, arriviamo alla Millenia Mall. Scendo con la mia inseparabile valigia trolley, ho tutto dentro questa appendice di me: computer, macchina fotografica, tremila euro (inutili, ma di scorta), vari effetti personali, il biglietto di ritorno. Per inciso la Mall è una sorta di centro commerciale, nel quale entrare, perdersi e spendere - oltre ai soldi - l'intera giornata: l'imperativo è consumare, tempo e dollari. Finalmente qui li trovo: gli americani. La Millenia Mall è una enorme struttura coperta su due piani, con circa ottanta negozi (immancabile l'Apple store), due piazze interne, cinque punti di riposo (tra uno shopping e l'altro il consumatore deve ricaricarsi in qualche modo), una ventina fra ristoranti e fast food. Il primo imperativo me lo detta lo stomaco. E' mezzogiorno, devo mangiare. La scelta (bendata) cade sulla Cheesecake Factory, un ristorante da circa duecentocinquanta posti. Provo a sedermi ad un tavolo, ma immediato un cameriere mi si para davanti: devo passare dalla reception, lì mi affibbieranno il tavolo. Non c’ero abituato, ma funziona. Finalmente riesco nel mio intento e, seduto, mi guardo intorno. L'America media si dispiega in tutta la sua potenza all'interno di questo microcosmo. La lingua parlata non è, sorprendentemente, l'inglese. Una buona metà degli utenti e dei camerieri si esprime in spagnolo. L'età media dei presenti è alta. Gli anziani hanno uno standard abbastanza categorico: sono tutti, uomini e donne, in pantaloncini corti e scarpe da tennis. Usciti da qui interpreteranno tutti Cocoon. Anche qui, molti sono obesi. Non faccio fatica a capire il perché: le porzioni sono uno schiaffo in faccia alla fame nel mondo. Ognuna, per i miei parametri, basterebbe per due buone forchette. Ma non è il particolare che coglie maggiormente la mia attenzione. Ogni avventore - ogni singolo avventore - pasteggia a cocktail. In sostanza: l'acqua è la prima cosa che viene portata, gratuitamente ed in quantità industriale, con ghiaccio. Mi viene il dubbio che sia un imperativo psicologico: le portate sono così grandi che ti senti piccolo, e devi ingrassare per forza, per reggere il confronto con le dimensioni. Insomma, arrivo all'ordinazione: si parte sempre dal cocktail (unica variante, la cara vecchia Coke), poi arrivano le portate. E' più forte di me, devo ordinare un MaiLai. Dopo pochi minuti mi arriva ed è buonissimo, credo il miglior cocktail che abbia assaggiato in vita mia. Il che la dice lunga sul mio stato di assuefazione. E' in quel preciso istante che sono fottuto e parto a razzo con il resto. Ordino in sequenza un Guacamole (un misto di avocado, spezie, pomodoro,cipolle) con tacos per antipasto e una bistecca (il menù recita: garantita Angus, la razza bovina migliore) con patate e contorno d'asparagi. Le porzioni, l'ho già detto, sono sontuose. Eppure non mi è possibile lasciare nulla nel piatto, e per il senso di colpa e per la fame. E non è tutto: la Cheesecake Factory è famosa per i suoi dolci. Il cheesecake alla fragola che ordinerò sarà il colpo di grazia ai miei sensi già provati: quando esco dal ristorante (conto: 44 dollari, circa 30 euro) la mia prima meta è la zona riposo, dove cado sconfitto per mezz'ora di trance ipnotica, con bolla al naso.
Al risveglio improvvisa sale la shopping addiction: devo spendere. Prima, la capatina al bagno è d'obbligo: lì rendo i miei 44 bucks alle fogne di Orlando, e rinasco pronto a nuova vita. Una volta fuori e con la leggiadria di una gazzella, mi esibisco in una folle corsa negozio negozio, che decurterà i miei beni di circa 500 (cinquecento!) dollari in regali. La sensazione è netta: ogni negoziante mi accoglie come fossi un Dio, la loro cortesia è addirittura urtante. Ed i maledetti bucks escono dalle mie tasche come mai prima nei miei gloriosi trenta qualcosa anni di vita. La risultante è che sono le sei di sera e sono rimasto con poco più di cento dollari nelle tasche. Fortunatamente domani mattina presto ho l'aereo che mi porterà via da questo paradisiaco inferno.
Esco, nonostante tutto felice, Tony mi attende nella sua Lincoln.
In macchina una malsana idea mi attanaglia. Voglio vedere un negozio di strumenti musicali. Tony, diligentemente, mi traghetta in uno grandissimo. E' il mio personale paese dei balocchi. Guardo Tony, ho il cuore gonfio di gratitudine, rimaniamo d'accordo che mi verrà a prendere dopo mezz'ora, oramai siamo conoscenti stretti, mi suggerisce di lasciare il mio trolley in macchina ed io seguo il suo consiglio. Non faccio in tempo a passare dieci minuti nel negozio che ho già deciso di comprare una chitarra acustica Ibanez di discreta fattura, la custodia per portarla in aereo, le corde di ricambio, i plettri (in confezione da dieci). Il tutto alla irresistibile somma di 150 $ (100 euro). Ovviamente non ho la cifra che millanto, inoltre devo pagare il fido Tony, ma ho sempre l'escamotage della carta di credito, che tiro fuori dal portafoglio felice come un bambino. Qui inizia il mio brutto quarto d'ora.
- La carta di credito non ha fondi (mi dice il commesso) non è che ha un'altra carta o può pagare cash?
- Nel mio portafoglio rimangono 138 bucks, amico. Il mio amico tassista arriverà fra poco, accettate Euro?
- Cosa sono gli Euro?
In quel momento realizzo che un boliviano se ne è andato con la mia vita ed i miei soldi nel suo bagagliaio, e che probabilmente il mio trolley è già finito nelle mani di qualche strafatto di coca, che sta saltando sul mio portatile a ritmo di rap, mentre casualmente apre la cerniera dove io ho nascosto la mia salvezza, 3.000 euro, e non capendo neanche che sono soldi veri, li sta usando per accendersi una sigaretta. In quel momento realizzo che sono Niente, che 138 dollari mi separano dall'essere buttato in mezzo ad una strada quando fra un'ora questo negozio chiuderà e mi toccherà dormire sotto un ponte, lontano dal mio albergo, con la chiara impossibilità di raggiungere l'aereo che mi avrebbe riportato sano e salvo a casa. Domani dovrò rubare qualcosa per avere l’occasione, se riesco a non farmi ammazzare, di essere arrestato e professarmi così cittadino italiano e poter chiamare l’ambasciata.
Sono nella merda fino al collo.
Passo in questo stato crescente di paranoia sette lunghissimi minuti, dopo i quali la Lincoln di Tony (il mio Tony) riappare all'orizzonte. Contratto con Tony e lo avviso: quando mi porterà all’aeroporto lo pagherò cambiando gli euro: quindi compro la mia chitarra scontata a 138 dollari (comprensiva di tutti gli accessori) e monto in macchina; sono salvo e felice, senza un dollaro in tasca, con una carta di credito inutilizzabile, amo il sacro popolo boliviano, ho una chitarra, domani cesserò di essere americano, con gran sollievo delle mie tasche.

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