Da qualche anno il mio ruolo di viaggiatore si è fatto più corposo, essendo le mie trasferte in giro per il globo aumentate di intensità a causa di un buffo lavoro che neanche io so definire con esattezza. Mi sono trovato così involontario protagonista di disavventure causate dall’essere il contrario del viaggiatore on the road consumato. Al contempo il trovarmi in luoghi talmente ricchi di profumi, colori, sapori, esperienze e vite diverse dalla mia, mi ha posto in condizione di non poter fare a meno di raccontarli. Il DVM è quindi la fedele ricostruzione dei miei viaggi, di ciò che ho visto e vissuto, sempre in prima persona.
Diario del Viaggiatore Maldestro
Stati Uniti - Orlando, Florida, Gennaio 2008
Parte1
Eccomi fuori dall'aeroporto, sono negli States; dopo lunga trattazione e gestazione, dopo essermi tolto le scarpe quattro volte, passando attraverso cinque scanner umani e tre bagagliani - con relativa multipla estrazione ed inserzione del portatile dalla borsa, dopo aver lasciato due delle mie dieci impronte digitali ad un grande archivio, dopo il relativo interrogatorio (chi sei, cosa fai, dove vai, quando vai, per quanto stai e perché fai) reiterato due volte con due differenti ufficiali, dopo aver rilasciato al suddetto mega archivio una foto segnaletica - ma il tutto, bisogna ammetterlo, con una rapidità che fa sentire cibo in uno scatolettificio automatizzato - ecco, finalmente ci sono, posso a tutti gli effetti perdermi in questo mare immenso che prende il nome di Stati Uniti, felice di sentirmi nessuno in mezzo alla marea. Che poi nessuno in mezzo alla marea lo ero tranquillamente anche prima, ma ora, da americani, è tutta un'altra storia. Detto fatto iniziano le prime azioni e riesco a tuffarmi in un cocktail bar interno all'aeroporto, di quelli con il barista al centro che fa il giullare e tutti i clienti in cerchio a fare I clienti. Ordino un cheeseburger e una birra, che altro? Sono ad Orlando, nel centro della Florida, ho una carta di credito, settecento dollari come paracadute: finché ci sono questi dovrei essere salvo. Esco ed ho la prima sorpresa, il clima non è poi tropicale, fa freddino e la prima impressione è di essere in mezzo al deserto. Non fraintendiamoci, presenze umane ce ne sono, cemento a volontà, ma qualcosa di indefinito suggerisce che la gestione dello spazio è differente; c’è più aria, e non la so spiegare in maniera differente. Cerco un taxi, non è una cosa semplicissima, potrei anche arrischiarmi in una vera avventura noleggiando una macchina per i miei propositi, ma l'immagine di me sdraiato in uno dei sobborghi di Orlando senza niente addosso tranne qualche livido e l'ultima verginità che mi rimaneva persa, mi distoglie dal proposito del pioniere. Taxi, quindi: dopo una piccola attesa un intermediario mi affibbia un bigliettino che tengo in mano dieci secondi. Prima che abbia avuto modo di capire a cosa serve, un tassista me lo toglie di mano e mi chiede dove voglio andare. Ho prenotato un albergo vicino al luogo del meeting, domani ho il mio lavoro da businessman che mi attende. Seconda sorpresa, sono fifty bucks per arrivarci. Cinquanta dollari e mezz'ora di macchina. Il mio gruzzoletto si assottiglia in fretta, e il mio stomaco langue, American Airlines non ha provveduto il cibo in volo (solo a pagamento, su tutti i voli: eccezion fatta per la business, è chiaro). L'albergo si chiama Extended Stay, non è il classico Hotel, non è un Motel, è una sorta di appartamento, provvisto di tutto eccetto quello che vorrei: cibo. Poco male, ci sarà qualcosa nelle vicinanze, vado alla reception e chiedo. Nuova sorpresa, sono nel mezzo del niente, sono le 10 di sera e dovrei prendere nuovamente un taxi, che cmq devo pre allertare perché venga a prendermi domani mattina. Risultato: a letto senza cena, ma genuinamente americano.
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