venerdì 16 maggio 2014

Raccontare o morte.

Eppure c'è qualcosa che non convince. Fare questo mestiere è una scelta, questo è indubbio. Che si faccia con l'obiettivo pecunario in testa è falso. Non abbiamo passaporto americano. Che questo lavoro causerà sempre una sequela di problemi personali, familiari, economici, di salute, psicologici è altrettanto conclamato.

Nel novantanove per cento dei casi il genere umano si rivolge a te guardandoti come un essere alieno in un mondo di folli. I folli che fanno parte del tuo mondo si rivolgono a te come a un confessore, un risolutore, un analista. Tua moglie si rivolge a te come un'apparizione istantanea in un mare di assenza. Le tue figlie ieri lasciavano le poppate, verso le prime pappe. Oggi si rivolgono a te per la paghetta e lasciano il ragazzo. Nel frattempo Il tempo che impiegherai a raccontare la storia che devi raccontare (e che hai scelto) sarà speso fra tribolazioni, maledizioni e bestemmie. E questa lista non proprio lusinghiera vale per tutti, nessuno escluso, i produttori, registi, creatori di cinema.

Quindi perchè tutta questa gente, al mercato di Cannes?
Quale insana forma di masochismo fa scegliere a tutte queste persone la vita che fanno?

Cannes è il luogo dove, dietro la facciata del red carpet - su cui sfila l'1% di questa industria, che crea il 100% del desiderio popolare, vivono e si incontrano i rappresentanti - migliaia - della categoria sofferente di cui sopra: produttori, sceneggiatori, registi, e via dicendo. Parlano di storie. Cercano storie. Vendono storie. Si raccontano storie. Ed ogni storia viene raccontata, spesa come se fosse la migliore del mondo.
Nei maggiori festival, i film in vendita sono circa cinque/seimila. Che devono essere venduti e raccontati. Altrettanti, con una stima al difetto, sono i film che verranno raccontati ma che non esistono ancora.
Una mole gigantesca di racconto. E forse è questa la chiave.
Il narrare.
Questa attività umana che è probabilmente la vera essenza di noi.
Il racconto è multiforme, ma persistente. Ovunque. Su uno schermo, attraverso scambi informali fra due persone, nella maniera di vestire, di portarsi, nella costruzione di un brand, nel mito che regna introno al cinema. Tutto è racconto. Nell'esatto istante in cui abbiamo una relazione (o pensiamo che ne avremo una), abbiamo un pubblico. E raccontiamo, sempre e comunque, in relazione a un pubblico che immaginiamo recepisca o recepirà. Accade in ogni manifestazione umana. Il cibo è racconto. La moda è racconto. L'arte e la cultura sono, ovviamente, racconto. Per questo non possiamo farne a meno. E' la radice dell'uomo. E la settima arte è la maniera più articolata e complessa di raccontare.
Noi siamo qui per raccontare per mezzo dello strumento più complesso da gestire che esista: il cinema.  

A proposito, oggi anteprima mondiale di Dragon Trainer 2. Sul tappeto Cate Blanchett, bionda, algida. Lei davvero aliena. Molto, molto più rilassata rispetto a Nicole Kidman, abbracciava un pupazzo di drago.

Domani anteprima di Relatos Salvajes, in concorso, che andrò a vedere.

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