Ospito oggi per la prima volta una Viaggiatrice Maldestra, attratta quanto me dalle esperienze di viaggio, al di là della pura descrizione da "trip advisor", cosa che su questo blog, decisamente, non troverete mai. La ringrazio, e invito chiunque abbia voglia di condividere le sue esperienze di "Viaggiatore maldestro" a inviare il suo materiale all'indirizzo mail
info@metro-polis.it.
A patto che il Diario del Viaggiatore Maldestro rimanga, sempre, la fedele ricostruzione delle esperienze, di ciò che è stato visto e vissuto, sempre in prima
persona, da chi scrive.
Diario del Viaggiatore Maldestro
Bombay, India - Gennaio 2008
Diario del Viaggiatore Maldestro
Bombay, India - Gennaio 2008
Le tre del mattino. Uscendo
dall'aeroporto m'invade l'odore di Mumbai.
Il primo passaggio è davanti alla
baraccopoli di una città che conta 16 milioni di abitanti. Sul taxi nero e
giallo siamo in quattro: gli occhi incollati ai finestrini corrono veloci
stando dietro ai suoni di clacson, e nessuno parla. Non c'è niente da dire:
commenti sul volo di nove ore appena finito, se qualcuno ha fame o sete, cosa
si fa domani....no.
Il nostro autista ci presenta la
sua statuina di Ganesha (la divinità dalla testa di elefante e il corpo di
uomo, che sarebbe poi diventata la mia “preferita” in assoluto), sapientemente
incollata sul cruscotto, davanti al volante, sulla cui proboscide declina
sinuosa una ghirlanda di fiori arancio vivo. Mi sembra che questo viaggio non
finisca. I tetti di lamiera dello slum e poi i negozi dalle insegne in
hindi e ancora il mare e un infinito malecón mille volte più ammaliante.
Siamo arrivati di fronte al
nostro albergo, immerso in una scacchiera scomposta di strade e con davanti
alti alberi gracchianti. I corvi sono decisamente poco discreti, il loro suono
sovrasta tutto il resto, e io sono già in ipnosi. Scendendo dal taxi guardo
dentro la porta a vetri opaca dell'albergo e vedo più persone nell' ingresso, tutte
distese a dormire: alcuni indiani con la divisa da lavoro, una specie di livrea
spartana, e uno di questi con un grosso turbante bianco (un sikh, avrei capito
poi).
Tutti si svegliano e portano le
nostre valigie in camera, gentili e pronti a ricevere le nostre prime rupie da
spendere. La porta si chiude dietro di me e il mio amore, e lo sguardo va verso
la finestra che in un attimo è spalancata. In strada ci sono vari gruppetti di
uomini seduti sui marciapiedi che discutono, e ridono, e poi locali luminosi,
carri che passano trainati da cavalli... polvere che sale.. sento i primi odori
dell'India con attenzione. Quasi tre sigarette in mezz'ora e siamo in strada.
Io e il Matteo.
I nostri compagni di viaggio sono apparentemente spossati e
forse anche un po' intimoriti, e li capisco. Ma DEVO vedere, ancora non so che
il senso della vista in India è di un'intensità a tratti tenue rispetto a tutti
gli altri sensi. Percorriamo la strada asfaltata che all'improvviso diventa una
piazza sterrata e l'odore si fa più consapevole. Incenso, spezie, escrementi,
cibi arrostiti e fritti, profumo di fiori. Una moltitudine di umanità fragile e
potente che vive in un luogo che per me è altro, eppure già parte essenziale di tutto il mio mondo. Le
mucche magroline scampanellano lente e placide ed io gli accarezzo il muso: gli
occhi grandi, lo sguardo buono. Vorrei compare queste foglie che masticano
tutti... betel... sostanza onirica?!!
Troppo indagare anche il gusto.
Non so
quanto è durato questo nostro primo passaggio stentato e stregato, ma ricordo
l'intensità devastante della mia prima notte indiana.